La ricerca sulle chiese etniche pentecostali risulta oggi un campo di particolare interesse sociologico per quei contesti territoriali, quali l’Italia, che sono stati caratterizzati un tempo dalla presenza di un’unica religione di maggioranza e che oggi sono coinvolti in un improvviso pluralismo religioso effetto dell’immigrazione. Con l’immigrazione crescono in particolare le chiese pentecostali formate da fedeli provenienti dall’Africa e appartenenti a particolari culture e nazionalità.

La definizione di tali chiese come chiese etniche pentecostali è considerata da alcuni ricercatori connotata di elementi di stigma sociale. In realtà tale definizione appartiene alla tradizione classica della sociologia delle religioni. Secondo tale accezione una chiesa etnica è una chiesa che si distingue dalle altre per una speciale discendenza, oltre che dottrine e pratiche e che si trova ad essere una minoranza religiosa a confronto di una religione di maggioranza presunta non etnica (Yinger 1957, 399). L’utilizzo del concetto di ethnos, e quindi di chiese etniche, appartiene inoltre al patrimonio di altre scienze quali l’antropologia e l’etnologia. Ethnos si riferisce alla dimensione culturale tipica di ogni popolazione e tradizione sociale. Tale significato di ethnos quale valore aggregante di un gruppo lo si trova in particolare tra i ricercatori che studiano i nuovi gruppi di immigrati. Il pentecostalismo, presente in Italia dal 1800 seppure in forme del tutto minoritarie, ha rappresentato una forma significativa del pluralismo religioso italiano. Esso ha costituito l’ultimo revival del protestantesimo italiano, particolarmente vivace al Sud Italia. In questi ultimi anni il pentecostalismo italiano ha conosciuto un forte incremento  con l’arrivo di un grande numero di immigrati, soprattutto dall’Africa.La tipicità del contesto europeo, e italiano in particolare, sta nel fatto che le chiese etniche sono un effetto recente dell’immigrazione. Con gli individui, infatti, emigrano anche i loro usi e costumi, i loro dei, le loro credenze e i loro riti.

A Torino sono presenti chiese pentecostali di origine africana, brasiliana e romena. Raccolgono complessivamente duemila fedeli, che con varia frequenza e coinvolgimento fanno parte delle comunità religiose, e che rappresentano demograficamente una quota di popolazione giovanile che avrà in futuro un significativa espansione.

Una recente forma di pentecostalismo nell’area torinese è quella delle chiese etniche degli immigrati; chiese pentecostali nelle quali c’è una corrispondenza stretta tra l’identità nazionale d’origine, o la memoria che se ne ha o che si sublima, e le caratteristiche religiose che si perseguono come cittadini. A Torino sono presenti una decina di organizzazioni religiose composte di soli immigrati e tra queste almeno sei sono Chiese pentecostali (Chiesa pentecostale africana, Chiesa pentecostale zairese, United Christian Church, Chiesa evangelica brasiliana, Chiesa pentecostale etiopica «Luce di Cristo», Chiesa pentecostale cinese). Si tratta di gruppi composti di poche decine di immigrati, ma in crescita. Dal pentecostalismo assumono le componenti profetiche, emozionali, curative, e la disponibilità a conservare elementi d’origine. Con la sua forte emozionalità, composta di metodismo e di religiosità popolare, il pentecostalismo si sviluppa tra i gruppi di immigrati più poveri. Attraverso la conversione i suoi membri si sentono uniti da legami d’amore, di fiducia, di lode comune. Nella loro condizione di marginalità non si sentono né i proletari trattati dal marxismo né i poveri coscientizzati dalla teologia della liberazione cattolica, ma i credenti «semplici» che si riconoscono nel canto fusionale a Dio. Gli «Alleluia» che tutti i partecipanti al culto innalzano e i canti del «Vento che soffia dove vuole», sono indicatori di una emozione religiosa libera. Essi riproducono una teologia «discorsiva», ben diversa da quella canonica delle Chiese storiche.

Il pentecostalismo risulta per più aspetti adeguato a rispondere ai bisogni dei gruppi di immigrati africani e brasiliani. Soprattutto dà modo agli immigrati di conservare elementi di identità collettiva, di non separarsi dagli altri e di costituirsi come «quadri sociali» di solidarietà. Questa funzione di conservazione della sfera simbolica di una minoranza fa delle Chiese etniche meccanismi importanti di trasmissione delle identità collettive. La lingua delle letture sacre, dei canti e delle preghiere è, spesso, quella parlata nel paese d’origine. Le feste e le commemorazioni sono quelle del popolo e della storia da cui si discende. Questa funzione simbolica di protezione dall’anomia è forte sia nei contesti nei quali la differenziazione etnica è mal tollerata, sia in quelli molto secolarizzati. In quest’ultimo caso si tratta di una forma di quel «paradosso della diaspora» che concentra la sua volontà di sopravvivenza in espressioni religiose, pur interessandosi poco alla religione. Nella realtà una struttura religiosa, quale quella delle Chiese etniche, si rafforza nonostante la crescente secolarizzazione. Tutto ciò non prepara, forse, il terreno per un autentico revival religioso; ma ciò non impedisce che le Chiese etniche siano riconosciute socialmente ed offrano ai loro membri nuove opportunità anche economiche.

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